mercoledì 25 gennaio 2012

Terra Nostra, campagna in difesa del territorio



SEL promuove una campagna in difesa del territorio e del suolo: riassetto idrogeologico, adattamento, messa in sicurezza e cura del territorio sono la prima urgente grande opera pubblica di cui ha bisogno l’Italia


Le risorse finanziarie necessarie a promuovere il riassetto idrogeologico, l’adattamento, la messa in sicurezza e la cura del territorio italiano si aggirano sui 40 miliardi di euro, mentre quelle realmente investite negli ultimi 20 anni sono state appena 400 milioni di euro. Per indennizzi, ricostruzioni e riparazione dei danni a posteriori si sono spesi (male e, molto spesso, per ricostruire negli stessi luoghi interessati da inondazioni e frane) 52 miliardi di euro in cinquant’anni; se sommiamo gli indennizzi post terremoti, la cifra arriva a 213 miliardi di euro.
L’assenza di qualsiasi riferimento ai temi della qualità dello sviluppo e alla sostenibilità ambientale nel recente discorso di insediamento del Presidente del Consiglio ci ha delusi e ci preoccupa perché sono migliaia i cittadini italiani in lotta da mesi con il fango. Tra economia ed ecologia vi sono molti più legami di quelli che tanti economisti assai poco innovatori e riformatori riescono a vedere: un territorio sicuro per i cittadini e per le attività produttive è la condizione prima di qualsiasi sviluppo possibile, un paesaggio di qualità è la ricchezza fondamentale dell’Italia. Non possiamo più sprecare soldi e natura, non vogliamo perdere altre vite umane.
Va colto appieno l’aggravamento dell’intreccio fatale tra cambiamento climatico e scarsa cura del territorio. Gli eventi estremi (periodi di siccità alternati a piogge violente che arrivano fino al 18-25% in più di intensità) rendono ancora più a rischio un territorio già fragile, con il 47% del territorio colpito dal dissesto. Dal 1998 (tragedia di Sarno) al 2007, secondo statistiche ufficiali, ci sono state un centinaio di vittime e 7,5 miliardi di danni cui vanno aggiunti quelle degli ultimi 4 anni.
In Italia l’impermeabilizzazione sottrae all’agricoltura e alla vita di altre specie porzioni sempre crescenti di terreno, limita e impedisce l’infiltrazione delle acque e la funzione di ritenzione, aumenta le possibilità di repentini eventi di piena. Oltre il 6% del territorio nazionale è impermeabilizzato e, nell’ultimo decennio, vi è stato un consumo medio di suolo di circa 36.500 ettari l’anno, ossia 100 ha ogni giorno, un ritmo doppio rispetto al decennio precedente. Il processo è evidente nelle grandi città: ad esempio, a Roma l’espansione dell’area urbana ha portato a una crescita del suolo impermeabilizzato dal 4% nel periodo 1994-2000 al 7% nel periodo 2000-2006. Il consumo e l’impermeabilizzazione del suolo sono tra le principali cause delle morti e delle devastazioni che gli eventi meteorologici estremi causano sul territorio italiano (anche quando non sono estremi). Con circa 45 milioni di tonnellate di cemento prodotto nel 2008, il nostro Paese è al quarto posto nel mondo per rapporto tra cemento prodotto e superficie territoriale e al quinto posto per rapporto tra cemento prodotto e numero di abitanti.
Lo sviluppo edilizio e infrastrutturale dovrebbe seguire il principio di evitare, limitare e compensare l’impermeabilizzazione dei suoli. Regolamenti stringenti, sul modello di quelli già esistenti in altri Paesi UE, possono ridurre gradualmente il consumo di suolo, entro una specifica scadenza temporale, fino ad avere “zero” consumo ulteriore di suolo. Da subito, possono anche essere avviate specifiche politiche per la protezione dei paesaggi, dei suoli agricoli e degli ecosistemi ad alto valore naturalistico, per evitarne consumo e impermeabilizzazione, diffondendo le migliore tecniche disponibili.
La protezione e la cura del territorio sono una vera riforma e una “grande opera”. La proponiamo alle forze sociali, politiche, economiche e al Governo e ne facciamo da oggi un impegno costante del lavoro politico di SEL, innanzitutto attraverso una campagna di discussione e consultazione che svilupperemo nazionalmente e in tutte le regioni e negli Enti Locali dove siamo presenti, anche attraverso proposte precise ed iniziative istituzionali.
Le prime proposte elaborate dal forum nazionale SEL “beni comuni e territorio” (www.forumselbeta.it) sono:
L’adozione da parte del Governo di un piano decennale ordinario per la messa in sicurezza stimabile in 40 miliardi di euro totali e finanziato annualmente dal 10% delle risorse che deriverebbero dalla Patrimoniale (1,5 miliardi su un totale che si aggirerebbe sui 15 miliardi), da un taglio delle spese militari quantificabile in circa 1,5 miliardi, da maggiori entrate derivanti dal contributo di solidarietà (fino al 20 per cento) da applicarsi ai cosiddetti “patrimoni rientrati con lo scudo fiscale” e per il primo anno anche dallo storno delle risorse attualmente destinate al Ponte sullo Stretto di Messina, un’opera che non riteniamo essenziale. Fino ad un totale di 4 miliardi l’anno.
⋅ La richiesta ai Comuni di redigere entro 6 mesi Piani attuativi minimi per la messa in sicurezza e la delocalizzazione basati sui seguenti criteri: “rinaturalizzazione” dei fiumi (come ecosistemi umani) e di tutti i piccoli e grandi corsi d’acqua; ristabilimento delle aree di esondazione e delle aree golenali; pulizia degli alvei e sistemazione degli argini; pulizia di tutti i percorsi in cui scorre acqua piovana (fossi, torrenti urbani, tombini, fognature), riforestazione e restauro forestale delle aree pedemontane. La rinaturalizzazione dei corsi d’acqua può oltretutto far riscoprire antichi usi per il cosiddetto micro e medio idroelettrico.
Una norma che le Regioni e i Comuni dovranno recepire in tempi brevissimi volta a impedire nuove costruzioni in tutte le aree di pertinenza fluviale e nelle aree contigue e ad arrestare il consumo ulteriore di suolo agricolo.
L’ istituzione di un Servizio Civile Giovanile Regionale (della durata di sei mesi e retribuito) dedicato a lavori di manutenzione e ripulitura in accordo con i Comuni e la protezione civile. L’esempio di Genova, nato sulla Rete con una massiccia partecipazione giovanile, è stato stupefacente e da quella esperienza dovremmo trarre insegnamento.
⋅ Il rafforzamento della filiera dei saperi e delle competenze, con un forte tasso di innovazione sia nella formazione delle nuove professioni “verdi” (sono sempre di più le università che offrono corsi di laurea in difesa e manutenzione del territorio), sia nella valorizzazione di geologi (oggi poche centinaia, con una flessione del 17% nelle iscrizioni ai corsi di laurea dal 2002 al 2009), ingegneri naturalistici, meteorologi e climatologi, architetti paesaggisti, urbanisti ecocompatibili, agricoltori con funzioni di presidio del territorio. È a portata di mano un incremento in quantità e qualità di questi nuovi lavori verdi.
L’istituzione della figura di “ecologo condotto” nei comuni o per territorio di più comuni o a scala di bacino idrografico, con il compito di individuare le strategie di adattamento e mitigazione degli effetti del cambiamento climatico, coniugate a buone pratiche di manutenzione del territorio.
“Adottare il fiume”, ovvero il coinvolgimento delle associazioni ambientaliste, delle forze sociali, del volontariato e dei singoli cittadini in progetti pilota sul modello di quelli sperimentati per la pulizia delle spiagge, dei parchi, dei boschi, nel prendersi cura tutto l’anno del fiume della propria comunità, del corso d’acqua esistente nel proprio territorio, riferendosi anche ai “contratti di fiume”.
Incentivi fiscali alle attività agricole nelle aree a rischio idrogeologico e nelle aree svantaggiate. L’affidamento diretto agli agricoltori e alle aziende agricole dei lavori di manutenzione e cura del territorio, di riforestazione, di restauro forestale e di rinaturalizzazione (già previsto da leggi esistenti) può dare effettiva attuazione all’idea di azienda agricola multifunzionale. Vanno poi previste la possibilità di sgravi fiscali fino al 55% sul modello di quelli per i lavori di ristrutturazione edilizia (con i necessari adeguamenti) e l’assegnazione, tramite bando pubblico, delle aree agricole di proprietà pubblica ai giovani agricoltori, con un contributo per il reinsediamento delle aziende agricole.

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